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Giochi di ruolo, un'altra vita per centomila

Battaglie con carte e dadi per inventare universi paralleli. E ora sfide anche tra donne

Autore: Gabriela Jacomella
Pubblicato sul Corriere della Sera del 22/01/2004

MILANO - Potrebbe capitare anche a voi. Entrate in un negozio qualunque, all'apparenza una normale libreria, e vi trovate catapultati tra elfi, vampiri e Grandi Antichi lovecraftiani. Oppure un amico vi invita a casa sua per una serata in compagnia. Sul tavolo, un libro e una manciata di dadi. Intorno, cinque persone che discutono con passione su quale arma possa uccidere un troll delle caverne. Benvenuti nel mondo dei giochi di ruolo. Un universo doppiamente parallelo. In primo luogo perché di questo si tratta: inventare nuovi mondi. E poi perché è una realtà che in molti ancora ignorano. Oggi però, complice un regista neozelandese e un piccolo hobbit, le cose stanno cambiando. E i giochi di ruolo vivono una seconda giovinezza.

I SIGNORI DEGLI ANELLI - Ma cos'è un gioco di ruolo? «Si può dire - spiega Gianluca Santopietro, 42 anni, dell'associazione ravennate "Cacciatori di teste" - che sia una versione "estrema" del gioco di simulazione. Dotato solo di un manuale di base, il narratore ( master ) introduce i giocatori (in media 5 o 6) in un mondo fantastico, senza il vincolo di una trama fissa». Le regole di base, insieme all'ambientazione generale (fantasy, horror, fantascientifica), sono definite dal manuale. Ogni giocatore si «costruisce» un personaggio, che interagisce con gli altri coordinato dal master. Nessuno vince, nessuno perde. Ma tutti sono «obbligati» dal master a reagire a determinate situazioni e a raggiungere obiettivi prestabiliti. E ci sono i momenti di difficoltà, come attraversare un fiume, il cui esito viene deciso non solo dall'abilità ma anche dalla sorte, in questo caso rappresentata dai dadi. L'importante è raccontarsi una bella storia, che, a puntate, può anche durare un paio d'anni. Il capostipite, Dungeons & Dragons (per gli amici D&D), nasce nel 1974 negli Usa dall'intraprendenza di Gary Gygax, un giocatore di wargames (le battaglie con le miniature) che pur di non arrendersi al «nemico» si inventò una fuga in un sotterraneo dove tutte le regole erano sovvertite. In Italia, dopo il «boom» degli anni '80, D&D sembrava aver ceduto il passo ai videogames e a giochi di carte come Magic . Poi è arrivato Peter Jackson e oggi parlare di hobbit e stregoni non è più appannaggio di pochi iniziati. «Con il film - commenta da Milano Silvio Negri-Clementi, del negozio specializzato Defcon Zero - il gioco del Signore degli Anelli ha avuto una grande spinta di marketing. Ma lo zoccolo duro resta D&D, e poi Il richiamo di Cthulhu , Vampiri e Cyberpunk ». Il gioco di ruolo è anche democratico: bastano un manuale da master (in media 30 euro) e qualche dado (il box da 7 costa sui 9 euro). Ovviamente divisibili da 5 o 6 giocatori.

TRA CURIOSITA' E PREGIUDIZI - Le leggende metropolitane parlano di sdoppiamenti della personalità, giocatori sull'orlo della pazzia. Basta un giro tra i tavoli di Avalon, «storico» punto di riferimento milanese, per capire che non è così. «Il gioco di ruolo - spiega Edoardo, 23 anni - è un sogno condiviso, di cui hai il totale controllo». «In fondo - aggiunge Alberto - è come interpretare un brano di teatro». Nessuno dei giocatori in sala del resto sembra avere «problemi di socializzazione». Al contrario. «Questa - commenta Max, il titolare, 32 anni - è gente colta». C'è anche chi lo usa come terapia per il disagio psichico e chi (come l'associazione Gufo Re, a Biella) lo ha portato nelle carceri.

UN MONDO VARIEGATO - Il mondo dei giochi di ruolo è fatto di sognatori, spesso refrattari alle strutture. Difficile, in mancanza di una federazione nazionale, effettuarne un censimento. «Questo - conferma Beniamino Sidoti, del gruppo di ricerca sul gioco di ruolo GdR2 - è un fenomeno intangibile. A meno di contare le presenze ai tornei». Come quelli di Lucca Games (oltre 50mila visitatori), della Fiera del Gioco di Faenza (www.fieradelgioco.it), della mantovana LudicaMente (www.ludicamentemantova.it). Molti anche i siti specializzati, sul modello della Gilda anacronisti (http://gilda.it). I giocatori non abituali, dicono da GdR2, potrebbero essere 100mila, soprattutto al Nord (l'Emilia Romagna è in testa). «Tra i trentenni - commenta Sidoti - almeno uno su 5 ha giocato». In crescita le donne: «Negli anni '80 erano una su dieci, oggi sono quasi il 40%». Forse anche loro non sono rimaste indifferenti al fascino magnetico di Aragorn e all'eroico viaggio di Frodo verso il Monte Fato.


Erika Annatelli, 20 anni: sono una delle poche, per questo c'è chi rifiuta la mia presenza

«Sono una master, come papà: mi ispiro a Goethe»


Erika Annatelli, 20 anni, studentessa alla Cattolica di Milano, è una presenza «anomala» nel mondo dei giochi di ruolo, un universo in larga misura maschile. «E da un paio d'anni - commenta sorridendo - va ancora peggio. Perché se prima ero "solo" una giocatrice, ora faccio il master. Un ruolo raramente rivestito da donne».
Come ti trovi?
«Non è facile. A volte mi capitano giocatori che ritengono che tu, in quanto donna, non possa essere un buon master. C'è addirittura chi si è rifiutato di giocare con me. Per fortuna altre volte vieni apprezzata moltissimo».
Perché hai deciso di fare il master?
«E' stato mio padre a insistere. E' master anche lui - credo sia stato uno dei primi giocatori di ruolo in Italia - e a un certo punto, guardandomi giocare, mi ha detto che avevo delle belle idee. Ho iniziato a sottoporgli dei canovacci, e dopo aver avuto la sua approvazione li ho proposti al mio gruppo».
Dunque il gioco di ruolo è una tradizione di famiglia...
«Al punto che non saprei dire quando ho cominciato. Quando avevo 4 o 5 anni, mio padre e i suoi amici si trovavano ogni venerdì sera a giocare. Lui era il master, io mi mettevo seduta sulle sue ginocchia, tiravo i dadi. Era come se ci fossero 5 o 6 persone insieme che raccontavano una storia bellissima solo per me».
E oggi, che master sei diventata?
«Mi piacciono molto le storie psicologiche, o a sfondo letterario. L'ultima che ho scritto prendeva spunto dal Faust di Goethe. Non solo mostri, insomma. Alla fine ho notato che questo tipo di storia portava tutti i giocatori, anche quelli agli inizi, a esprimere la propria personalità. Quella vera».
Quanto tempo dedichi al gioco?
«In questo periodo faccio poche partite, per via dello studio. Di solito gli dedico un paio d'ore al giorno, poi prima delle partite c'è sempre un'oretta per sistemare l'avventura. E ci sono anche, ovviamente, quelle volte in cui si gioca dalle 8 di sera alle 5 di mattina...».
Non ti sei mai sentita «incompresa»?
«Certo, se parli del gioco di ruolo al di fuori dei gruppi e dei negozi specializzati, che sono una specie di "aree protette", è molto facile essere visti come extraterrestri. Per fortuna in famiglia, almeno per me, non è così».


La ricerca: si sviluppa la creatività

La psicologa: è meglio dei videogame, si impara a capire le persone

Identità fittizie, vite e universi paralleli, un master con diritto «di vita e di morte» sui giocatori... Ce ne sarebbe abbastanza per mettere in allarme più di una mamma. Ma la realtà è il contrario di ciò che sembra. E a sostenerlo non sono solo i giocatori, ma anche gli psicologi. «Abbiamo condotto ricerche approfondite - spiega Sabina Sfondrini, psicologa sociale all'Università Cattolica di Milano - su una chat dedicata al gioco di ruolo, dove l'identità fittizia viene assunta tramite un avatar , un simulacro grafico. L'interrogativo non riguardava solo l'eventuale "sdoppiamento", ma la possibilità, ben più inquietante, della molteplicità».
E cosa è ne emerso?
«La ricerca ha chiarito che si può assumere un'identità fittizia senza perdere il senso della propria. Tutti possiamo, a seconda delle situazioni, rendere saliente una parte della nostra identità, senza per questo disperdere la coerenza e unicità della personalità. Anzi, proprio partendo da questa possibilità, il gioco di ruolo diventa molto utile».
In che senso?
«L'identità virtuale è una palestra delle relazioni. Allo stesso modo in cui prima di affrontare una camminata in montagna si può fare preparazione in palestra, così possiamo considerare la realtà virtuale come un luogo in cui esercitarsi i rapporti con gli altri».
Per quale motivo, allora, il gioco di ruolo viene a volte guardato con sospetto?
«E' accaduto anche con i videogame: le innovazioni fanno sempre un po' paura, chi non le utilizza tende a immaginare scenari perversi... Il gioco di ruolo ha una tradizione antichissima e tra i giocatori si trovano persone intellettualmente vivaci, curiose, molto più del "ragazzo da Playstation". Per orientarsi in un'ambientazione gotica, medievale, ci vuole fantasia ma anche cultura, un bagaglio di letture di un certo livello».
Che cosa impara un giocatore di ruolo?
«Innanzitutto a sviluppare la creatività e a gestire il tempo, con pazienza e attenzione al dettaglio. Poi il gioco di ruolo stimola l'aspetto cognitivo e relazionale. Spesso ci si confronta con persone di età diverse, fuori dalla cerchia degli amici».

 

 

Pubblicato per motivi di studio, senza concessione dell'editore.


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