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Commento al caso di Torino

Di: Beniamino Sidoti

A parte le accoppiate poco chiare, e i titoli sparati ad altezza d'uomo, bisogna dire che il tono generale degli articoli, per una volta, dice "genitori, dateci un occhio", piuttosto che "bandiamo e proibiamo questi orrori".

Non è molto, ma è già un passo avanti. Sicuramente lo dobbiamo più al fatto che l'industria della Playstation è grande e fiorente che ad altro. Ma tant'è, e meglio così.

Personalmente credo che il taglio sia abbastanza obiettivo: la notizia c'era (mica come in altri casi) e il commento non è incriminatorio. Che si debba, da genitori, porre dei limiti all'uso del videogioco come del computer o della tv è indubbio: cinque notti davanti a un computer non sono poche. Quei genitori dovevano stare un po' più attenti e quel ragazzo doveva avere qualche problema.

Rimane, un po' a margine ma rimane, il fatto che la procura di Torino ha approfittato (procuratore Guariniello) del caso per mandare degli avvisi di garanzia a importatori di videogiochi violenti e diseducativi (da notare, non compare Street Fighter... che è il gioco che il ragazzo ha giocato fino all'ossessione). Questa è una tendenza un po' pericolosa che però credo andrà a finire in una bolla di sapone. Gli stessi giornali non se la sono filata più di tanto.

Vorrei invece spendere qualche parola su come la notizia è nata: riportata (e trovata, credo) da Repubblica, si riferisce a un fatto successo un mese fa. Ora, è un po' strano che un quotidiano riporti la notizia un mese dopo il fatto: qualcuno deve aver segnalato la cosa. Repubblica è l'unica, ieri, a tornare sul fatto dicendo che il tribunale dei minori ha aperto un'inchiesta per togliere ilbambino alla famiglia. Credo che questa sia la fonte (coperta, come si usa nel caso di fonti istituzionali che non possono essere direttamente coinvolte), e che in realtà sia questa la notizia: "Ragazzo si ringrullisce e il Tribunale ne chiede l'affidamento". Il resto è ben giocato, sfruttando l'ambigua fama di cui i giochi (da sempre) godono.

Un'altra cosa che vorrei evidenziare è che il ragazzo effettivamente dei problemi in famiglia, a quanto pare, li aveva; e veniva da un ambiente in cui di solito è meno facile difendersi dall'invadenza dei giornalisti e anche dal tribunale. Il padre è un immigrato di cittadinanza italiana, quindi, credo, non in grado di tenere nascosta una cosa del genere: per questo probabilmente questo caso è "esploso" all'esterno senza venire "soffocato".

Torna un vecchio discorso, portato avanti anche nella carta dei diritti dei bambini delle nazioni unite: il diritto al gioco. Bene, credo che il diritto non sia uguale per tutti, almeno in questo caso, se la cosa dovesse risolversi con una causa di affidamento. Voglio dire che la soluzione non sarà spiegare al ragazzo come giocare e come socializzare giocando, ma quella di levarlo di casa perché giocava troppo... fino a stare male. Non la mia soluzione, ma quella proposta dal tribunale dei minori. E questo non è giusto, e non sarebbe accaduto a un ragazzino di famiglia bene.

Se ammettiamo fra i diritti del bambino il diritto al gioco, dobbiamo anche pensare che ci possa essere qualcuno che insegna a giocare bene, non solo qualcuno che ti leva di casa se giochi troppo o male (qualunque cosa voglia dire).

Comunque, perlomeno è chiaro che il videogioco c'entra solo in quanto il ragazzo giocava troppo. Che si metta un limite o perlomeno si suggerisca, non riguardo ai contenuti o all'argomento del gioco, ma al suo uso, mi sembra un gesto di civiltà.

Pubblicato su concessione dell'editore.


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