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Stampa, Bugie e Videogames

Di: Leonardo Speri
Pubblicato su: Agonistika News, Nr. 25, Gennaio/Marzo 1997

Continua l'opera di demonizzazione della stampa nei confronti del mondo ludico. Sul n. 6 di "Sette", supplemento del Corriere della Sera, il giornalista Cesare Fiumi tenta un parallelo tra gioco e lancio di sassi in autostrada

C'è uno straordinario role playing, datato cinque secoli, di un tale Calderòn de la Barca, dal fortunato titolo "La vita è sogno". Un giovane e scapestrato erede al trono viene sottoposto ad una prova dal re suo padre, ragionevolmente preoccupato per le sorti del regno. Viene addormentato e risvegliato altrove e, dopo una incoronazione "virtuale", crederà di governare. Potrà così essere esaminato. Se la caverà bene, garantendosi il posto di successore.

L'oscillazione tra fantasia e realtà è un tema che da sempre affascina e tormenta il genere umano e i suoi poeti, come d'altra parte gli psicologi e tra gli altri- evidentemente- anche i giornalisti. Calderòn de la Barca ne propone un uso virtuoso e, per una visione più drammatica, si può citare, un esempio tra i tanti, Shakespeare e il suo Amleto. Il tormentato principe vuole minacciare la madre, solo per spaventarla, ma non sa se sarà capace di controllarsi: parlerò di pugnali con lei, ma non ne userò! Si alleino lingua ed anima in questa ipocrisia: qualunque cosa io dica, anima mia, non ardire di attuarla.

Il primo psicodramma ci rivela un giovane ignaro del gioco, che manifesta tuttavia la sua indole positiva, il secondo, una recita, ci rivela un giovane più insicuro ma ancora consapevole.

Questa breve digressione letteraria è per dire che il gioco costituisce qualcosa di estremamente serio, un'esperienza fondativa della nostra stessa umanità, del nostro essere "persone". Il gioco non è né buono né cattivo, il giocare non è passibile di giudizio etico; sta invece all'origine di ogni nostra capacità creativa, dalla più semplice alla più sofisticata, artistica e scientifica. Se fin da bambino l'area del gioco non si instaura, l'individuo non sperimenta la vita, non cresce, perde se stesso, non riconosce l'altro, verso il quale non ha alcun interesse. L'altro semplicemente non esiste.

Ma se le cose stanno così la domanda sulle origini del male che si esprime in ciò che continua a venire impropriamente chiamato il "gioco" dei sassi in autostrada forse una risposta ce l'ha: quei ragazzi di Tortona non hanno mai giocato. Forse non sono passati attraverso un'esperienza vera di gioco: è uno stato profondo della persona, non ha a che vedere con la bontà dei giochi proposti - siano pure i peggiori o i più stupidi. Ha a che fare con un riconoscimento sociale, un accesso all'esistenza - e ad una sciagurata popolarità - garantito solo dai media, non più da persone con le quali interagire. E non stupisce che l'incontro con esseri umani, i poliziotti, i detenuti, i magistrati, qualche prete, abbia qualche primo effetto benefico, ma a che prezzo!

Ma qui viene un dubbio: i media, i giornali si sono presi dentro ad un "gioco" perverso. Mentre Cesare Fiumi nel suo articolo Sassi, bugie e videogames "spara" anatemi contro tutto il repertorio di giochi, in realtà sta facendo peggio, ma in buona compagnia. I media garantiscono la visibilità alla sola condizione che le azioni siano eclatanti e particolarmente spregevoli ma, non paghi, suggeriscono modelli con la disinvoltura, - loro sì - di un "ipermercato" dei ruoli. Comprensivi di pubblicità occulta per i cappellini Harley Davidson e di inamovibili joystick da tre chili, prossimamente sul mercato, formato Flintstone. Consola l'idea che la maggior parte dei giovani alcuni giornali non li leggono. Rassicura l'idea che i giochi di ruolo non sono più letali della naja, dei cantieri, delle bocciature scolastiche, delle discoteche, delle partite di calcio ... delle varie articolazione della vita stessa i cui scenari, in fondo, vanno a rappresentare, spesso consentendo di imparare a padroneggiarli.

Non consola invece il fatto che si continuino ad inseguire colpe - e che le si distribuisca a casaccio - e non ci si interroghi sulla complessità che produce questi comportamenti, che viene semplificata e liquidata. Una qualche verità, sicuramente tanto nascosta, viene erosa tanto dal vuoto esistenziale che da vacui slogan, suoi giannizzeri.

C'è davvero da chiedersi "a che gioco giochiamo?". O meglio, di chiedere a chi continua a scrivere proclami: "a che gioco giocate?"

Riprodotta su autorizzazione dell'editore.


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