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L'uso della simulazione nella lotta contro i pregiudizi:
riflessioni su alcune esperienzeAutore: Luca Giuliano
Pubblicato trad. in inglese: "Using Simulations to Fight Prejudice: Two Thought-provoking Examples", in
International Review of Sociology, vol. 7 (2), 1997, pp. 221-227.Luca Giuliano è professore di metodologia delle scienze sociali presso l'
università "La sapienza" di Roma. Studioso del gioco di ruolo e di simulazione ,
è anche autore di giochi di successo, e membro del consiglio direttivo del GdR2.Da alcuni anni, presso il Dipartimento di Contabilità Nazionale e Analisi dei Processi Sociali e nel laboratorio del Dipartimento di Psicologia dei Processi di Sviluppo e Socializzazione (Università degli studi di Roma, "La Sapienza"), si stanno conducendo una serie di ricerche ed esperimenti che fanno uso dei modelli di "simulazione giocata" (gaming simulation). Lo scopo è di costruire delle vere e proprie "realtà sociali" operanti, sebbene a livello fittizio, tali da offrire materiali di osservazione specialmente per l'analisi conversazionale (Galimberti, 1992; De Grada, 1993).
Da un punto di vista metodologico, si tratta di sperimentazioni su grandi gruppi (15-40 soggetti) che si pongono ad un punto di convergenza tra sociologia e psicologia sociale. E' un terreno sul quale si incontrano i frammenti sparsi di teorie sociali e psicologiche affini: l'interazionismo simbolico, la fenomenologia sociale, l'etnometodologia. Tutti questi approcci adottano una "prospettiva intenzionale" sulle origini e sulle forme della conoscenza, in base alla quale la conoscenza non copia i contorni del mondo ma li disegna (Gergen, 1980; 1985).
La conversazione è, da questo punto di vista, l'ambito naturale in cui prende forma l'azione sociale, l'attività discorsiva che porta alla costruzione del significato (Rijsman & Stroebe, 1989). Purtroppo non sono molte le circostanze nelle quali il ricercatore è in grado di osservare la realtà sociale nella "naturalità" del comportamento, e la conversazione non si sottrae a questo destino. Nella ricerca di laboratorio spesso prevale l'artificiosità della situazione sperimentale, mentre nella ricerca sul campo non sono possibili le consuete procedure formali che consentono la manipolazione delle variabili.
Le tecniche di simulazione giocata si sono dimostrate adeguate a questo scopo e i risultati sono stati documentati in una recente pubblicazione (Giuliano, 1995). Vi è però un risultato secondario, ma non per questo meno importante, che riguarda le applicazioni didattiche ed educative.della simulazione giocata nella lotta contro i pregiudizi sociali. Le esperienze compiute dal gruppo di ricerca permettono di condurre alcune riflessioni e di avanzare qualche proposta.
Qualche parola sulla simulazione.
Simulare, nel linguaggio comune, è fingere qualcosa che non esiste nella realtà; più propriamente possiamo dire che simulare significa "riprodurre in modo che sembri vero", imitare. Da sempre la simulazione svolge un ruolo importantissimo nel comportamento e nella cultura, un ruolo che è diventato oggi dominante grazie all'enorme sviluppo dell'informatica, delle immagini di sintesi, della telematica e, in generale, dei mezzi di comunicazione a distanza.
Nel linguaggio scientifico una simulazione è intesa come manipolazione di un modello a scopi conoscitivi. L'obiettivo è di intervenire sul modello per studiarne le reazioni e dedurne tutta l'informazione che esso implica. Trattandosi di una finzione, le conseguenze di una simulazione sono illusorie; pertanto essa è uno strumento particolarmente efficace per avvicinarsi alla complessità senza il timore di sbagliare.
Come è noto, un modello è una rappresentazione semplificata del referente. Un modello di simulazione è il risultato di una selezione di variabili, della assunzione di determinate relazioni tra di esse e del loro trasferimento in un sistema dinamico. Ciò che distingue un modello da un simulatore è proprio questa proprietà che ha il simulatore di essere potenzialmente funzionante, di essere quindi una riproduzione semplificata del referente. La simulazione è l'atto del riprodurre, il simulatore è il modello dinamico che viene "acceso" all'inizio e "spento" quando la simulazione ha termine.
Le tecniche di simulazione come strategia conoscitiva hanno una lunga tradizione in molti settori scientifici e tecnologici. Nelle scienze sociali la simulazione ha trovato applicazioni prima di tutto nelle attività che presentano situazioni di conflitto e delle quali si desiderano prevedere gli sviluppi. Risalgono al secolo scorso le simulazioni strategiche utilizzate dagli Stati Maggiori e poi sviluppate in forma di vero e proprio gioco (wargames) a partire dagli anni '50. Di poco successive sono le applicazioni degli stessi principi nell'addestramento alle attività economiche (business games). Più recenti sono le applicazioni della simulazione all'attività di pianificazione territoriale, rappresentazioni dinamiche di particolari aspetti degli insediamenti umani, degli interessi contrastanti e dei costi e benefici derivanti dalle decisioni assunte (Bigelow, 1978; Cecchini e Taylor, 1987; Cecchini e Indovina, 1989; Greenblat, 1988).
In tutti questi settori la simulazione è diventata uno strumento di lavoro abituale. Nella formazione e nell'addestramento è ormai convinzione comune che la simulazione permetta di migliorare le prestazioni con degli innegabili vantaggi: mantiene alta la soglia dell'attenzione dei partecipanti perché è interessante e divertente; offre un percorso educativo più motivato e consono ad un processo di apprendimento che integrando l'ascoltare, il vedere e il fare rispecchia maggiormente le situazioni reali e la loro complessità (Taylor & Walford, 1978; Sacco e Spataro, 1989; Provasi, 1991).
Nella ricerca la simulazione viene utilizzata in fase di progettazione di sistemi complessi, nella sperimentazione di politiche d'intervento o nella loro verifica, come fonte di generazione di dati e di osservazioni, oppure nella previsione, ad esempio per rappresentare scenari di conflitto internazionale o fare proiezioni sul futuro (Natalicchi, 1994; Ungaro, 1994). Da qualche tempo, la simulazione al computer viene utilizzata anche per modellizzare e sviluppare teorie sociologiche (Coleman, 1989; Collins, 1988).
Nella ricerca sociale vera e propria la simulazione non ha ancora una tradizione consolidata, anche perché non tutte le tecniche di simulazione possono offrire materiale di osservazione per il sociologo. Le più adeguate sono le tecniche di gaming-simulations, simulazioni che si svolgono in forma di gioco, e che possiamo definire "tecniche di manipolazione di un modello (simulation) attraverso l'assunzione di ruoli (role) sottoposti a regole (game)" (Cecchini, 1987).
Tutte le tecniche di simulazione giocata includono, in misura più o meno ampia, una "assunzione di ruoli" da parte dei giocatori. In modo più o meno esplicito il giocatore viene invitato ad assumere una condotta coerente in vista di uno scopo generale, vincolata dall'ambiente fittizio costituito dalle regole del gioco.
Il meccanismo di assunzione dei ruoli in senso stretto ci porta immediatamente a ricordare il "teatro della spontaneità" di Jacob Levi Moreno, e va sottolineato il fatto che fu lo stesso inventore dello psicodramma ad avvertirne il valore pedagogico, oltre che quello terapeutico, e a coniare il termine role-playing, anche per evitare qualsiasi confusione con lo psicodramma (Moreno, 1953; Mattioli, 1977; Mucchielli, 1985; Montesarchio e Sardi, 1987).
In un role-playing l'istruttore illustra ai partecipanti una situazione che comporta dei problemi di rapporto tra le persone coinvolte: può trattarsi di una negoziazione sindacale, del consiglio di amministrazione di una società o di una seduta del consiglio comunale. Ciascun partecipante viene invitato ad assumere uno dei ruoli coinvolti, gli vengono fornite le informazioni di base e gli viene chiesto di essere per quanto più è possibile spontaneo e sincero nelle sue reazioni. Il problema deve essere tale da coinvolgere emotivamente i giocatori. Il tutto poi si svolge secondo le consuete dinamiche di gruppo. Qualcuno sceglierà di essere aggressivo, qualcun altro adotterà un comportamento persuasivo, ecc. Il role-playing è un vero e proprio apprendimento attraverso l'esperienza.
Il role-playing non ha bisogno di strutture precise, né di una grande mole di dati. Il suo punto di forza consiste proprio nella scarsità di vincoli imposti alla situazione e quindi sulla libertà dei partecipanti di scegliere il comportamento da essi ritenuto più adeguato. In questo modo essi possono esercitare le proprie capacità di confronto e discussione nei rapporti interpersonali, valutare le reazioni degli altri e abituarsi ad un controllo delle proprie emozioni.
Il punto di forza del role-playing ne rappresenta però anche il limite: il mondo fittizio in cui agiscono i partecipanti attraverso la conversazione è un dato di partenza non modificabile. I partecipanti possono "discutere del mondo" ma non possono "intervenire nel mondo" con le loro decisioni perché il mondo non è in loro e loro non sono nel mondo. In un role-playing manca qualsiasi regolamentazione dello spazio fittizio che è l'argomento della conversazione.
E' come se due individui assumessero il ruolo di giocatori di scacchi limitandosi a discutere tra di loro sulla forma della scacchiera, sul colore delle caselle, sulla disposizione dei pezzi alla partenza, sulla possibilità di promuovere i pedoni, negoziando anche cambiamenti sulle regole del gioco (con lo stabilire, per esempio, che nel prendere un pezzo avversario, un pezzo aggiunge alle proprie possibilità di spostamento quelle del pezzo preso). In questa conversazione il mondo fittizio del gioco degli scacchi è "compatibile" ma non "condiviso". Questi due individui non accedono mai al gioco e non diventano mai giocatori, pertanto non assumono propriamente il ruolo di giocatori di scacchi.
Per offrire materiali di osservazione al sociologo e allo psicologo sociale la simulazione deve essere qualcosa di più di uno strumento didattico e formativo, deve diventare per i soggetti che vi partecipano una vera e propria performance che porta a conclusione adeguata un'esperienza (Turner, 1982), e questo non può avvenire se non all'interno di una vera e propria costruzione sociale condivisa.
La simulazione deve dare accesso ad uno spazio sociale virtuale: espressione di soggetti che vivono un'esperienza sociale nel suo farsi, osservatori e osservati, soggetti e oggetti dell'esperimento, portatori di emozioni e di sentimenti.
Pur restando all'interno del quadro di riferimento della simulazione giocata, una simulazione che ha questi obiettivi è costretta a confrontarsi con il problema della flessibilità dell'ambiente simulato e delle sue capacità di risposta alle sollecitazioni dei partecipanti. Quanto più l'ambiente reagisce in modo "intelligente" agli interventi eventualmente messi in atto dai partecipanti tanto più la costruzione sociale della realtà messa in atto nella simulazione è verosimilmente vissuta come reale e condivisa essa stessa. In alcune situazioni è possibile simulare questi ambienti con il computer, ma nessun ambiente virtuale di sintesi, per il momento, è in grado di dare una risposta così efficace ed adattabile agli imprevisti quanto un ambiente rappresentato dall'uomo stesso.
Simulazione e interazione sociale
Questa è proprio la "sfida metodologica" che il gruppo di ricerca sta portando avanti: simulare interazioni sociali complesse su fenomeni sociali altrimenti non osservabili per la loro durata nel tempo, per l'intensità degli scambi, per l'estensione territoriale, per la singolarità dei ruoli sociali, per il rischio personale dei partecipanti e degli eventuali osservatori.
Parliamo quindi di Simulazione dell'Interazione Sociale intesa come tecnica di manipolazione di un modello di interazione che comporta l'assunzione di ruoli strutturati sottoposti a regole sotto la direzione di un coordinatore che rappresenta l'ambiente della simulazione stessa.
La SIS si propone di "riprodurre" in laboratorio una situazione di interazione sociale il più possibile vicina alla situazione reale, e cioè all'ambiente naturale in cui avviene la conversazione che ne è la forma più comune. Il modello permette ai giocatori coinvolti nella simulazione di costruire una realtà fittizia che è una conseguenza della loro esperienza, esattamente come la realtà sociale.
La presenza di ruoli strutturati introduce nella simulazione una rete di significati che emerge dalla strategia, dalle aspettative, dalla reciprocità, di ciascun soggetto-giocatore come in un vero e proprio "dramma sociale". Ciascun giocatore agisce in vista di un progetto che non è definito sulla base delle regole come forma astratta di un conflitto, ma sulla base della situazione sociale che la simulazione intende riprodurre.
La SIS ha lo scopo di sollecitare i giocatori ad esprimere sentimenti, credenze, valori, atteggiamenti che sono propri del ruolo sociale assunto o meglio della loro interpretazione del ruolo sociale assunto. Quanto più il giocatore è invitato ad assumere un ruolo pieno in cui i contenuti normativi non esauriscono la sua condotta (play), tanto più la SIS permette di riprodurre il contesto naturale dell'interazione sociale. In altre parole, ciò che la simulazione imita non sono i valori, i sentimenti, gli atteggiamenti del giocatore stesso ma i valori, i sentimenti, gli atteggiamenti indotti nel giocatore dal ruolo che egli svolge in quella simulazione.
I partecipanti ad una SIS diventano parte attiva nella costruzione della realtà sociale prefigurata dal modello; ad essi viene proposta una esperienza sociale diretta di un problema - sebbene in una cornice di finzione - e vengono invitati a riflettere sul loro contributo a tale esperienza. Cooperazione, influenza reciproca, negoziazione, scambio, sono modalità di comportamento sociale osservabili indipendentemente dal contenuto specifico della simulazione che può favorire comportamenti associativi o dissociativi secondo i casi e le circostanze.
Due esperienze: Hostage Crisis e Pantanella Shish Mahal
Le prime applicazioni di questa tecnica sono state sviluppate intorno a due modelli: Hostage Crisis e Pantanella Shish Mahal.
Hostage Crisis (Kennedy & Key, 1988) è un modulo di educazione interattiva che simula una situazione di crisi internazionale provocata da un atto terroristico: un gruppo nazionalista appartenente a un paese arabo immaginario prende in ostaggio dei passeggeri americani in un aeroporto internazionale. Per la loro liberazione i terroristi chiedono in cambio il rilascio dei loro compagni prigionieri in un paese confinante non arabo, alleato degli Stati Uniti.
In Hostage Crisis i partecipanti assumono i ruoli principali delle persone coinvolte nella crisi: i componenti del Comitato di Lotta Nazionale che ha condotto l'operazione terroristica, i passeggeri trattenuti come ostaggi, il Presidente degli Stati Uniti, i suoi consiglieri e l'Unità di crisi costituita per l'occasione, gli intermediari internazionali che si fanno avanti per avviare il negoziato e i corrispondenti di un network televisivo che conducono il reportage giornalistico sullo sviluppo degli eventi.
I ruoli sono da un minimo di 21 a un massimo di 43, il che corrisponde al numero minimo e massimo di attori-giocatori coinvolti nella simulazione. La durata della simulazione è di 3 ore circa, alle quali si aggiungono 2 ore complessive di briefing e debriefing.
Hostage Crisis è stato ideato da Moorhead Kennedy e Martha Keys per The Myrin Institute di New York, un centro di promozione e sviluppo di programmi educativi. Moorhead Kennedy è un diplomatico americano e uno studioso di affari internazionali, che nel 1979 è stato tra gli ostaggi nell'ambasciata americana a Teheran. E' stata proprio questa esperienza a suggerirgli l'argomento della simulazione, persuaso che il sentimento di umiliazione diffuso tra gli americani in quell'occasione fosse dovuto anche alla loro incomprensione per i problemi internazionali.
Hostage Crisis è un esempio di educazione interattiva. L'interpretazione di un ruolo nella simulazione e la discussione sul tema in oggetto favoriscono la motivazione degli studenti a partecipare attivamente al processo educativo. Sentimenti, idee ed esperienze di vita, in combinazione con esercizi scritti e analisi della situazione, aiutano i partecipanti a identificarsi e a padroneggiare una situazione complessa, a confrontarsi con le ambiguità inerenti ai loro ruoli, a stabilire i loro interessi prevalenti, a valutare e chiarire le loro posizioni morali prendendo delle decisioni. Inoltre, i partecipanti devono negoziare tra di loro, costruire il consenso all'interno del proprio gruppo e risolvere i conflitti di leadership. La simulazione, pur non avendo come oggetto specifico il pregiudizio, ha messo in luce immediatamente la centralità di questo tema nel definire le strategie da adottare. Gli stereotipi relativi alla politica estera americana, al Medio Oriente, alla immagine dell'Arabo e del terrorista svolgono una funzione determinante nello sviluppo degli eventi simulati.
Pantanella Shish Mahal (Aiello, Areni & Giuliano, 1996) è invece un modello di simulazione sul pregiudizio etnico sviluppato autonomamente nell'ambito del gruppo di ricerca.
Lo scenario di Pantanella Shish Mahal è rappresentato da una città di grandi dimensioni meta di un avvenimento sportivo internazionale. L'amministrazione comunale della città si trova a dover affrontare una evacuazione forzosa di micro insediamenti di immigrati prevalentemente situati nel centro storico della città, confrontandosi anche con gruppi di cittadini delle zone circostanti. Alcuni invocano lo sgombero immediato e forzoso di un edificio occupato dagli immigrati, mentre questi ultimi si dichiarano pronti a tutto per di veder riconosciuto il loro diritto ad avere un centro di residenza e accoglienza. In questa trattativa la stampa e i mezzi di comunicazione di massa possono svolgere un ruolo decisivo, mentre nel Consiglio comunale si confrontano le diverse parti politiche.
In questa situazione i partecipanti, che impersonano i diversi soggetti-ruoli della simulazione (gli extracomunitari occupanti, i consiglieri comunali, i componenti del comitato di quartiere, la forza pubblica e i giornalisti, per un totale di 21-35 ruoli) si misurano sul problema della convivenza con etnie differenti dalla propria le quali, con l'occupazione dell'edificio, emettono drammatici segnali di una "realtà problema" esplosiva.
La simulazione si svolge in 3 ore di tempo reale che corrispondono a tre giorni di tempo simulato. Gli esiti sono interamente frutto della interazione sociale dei differenti personaggi-giocatori. Ognuno agisce secondo il proprio ruolo reinventandolo però di fatto nella performance collettiva che emerge dal gioco delle aspettative reciproche e dal peso degli stereotipi coinvolti.
Dal sociodramma alla performance sociologica
Entrambi questi modelli, all'atto della simulazione, assumono la forma di veri e propri sociodrammi. Come nel sociodramma, il soggetto della simulazione è il gruppo che mette in scena il suo problema: il pregiudizio. I partecipanti alla simulazione non sono individui singoli ma rappresentanti di una stessa cultura. E' a questa cultura, ai suoi modelli, al suo linguaggio, che essi fanno riferimento nel dare corpo e sostanza ai loro sentimenti, alle loro emozioni, alle loro decisioni.
Nel programma di Moreno il sociodramma avrebbe dovuto essere un metodo di ricerca attivo e profondo sulle relazioni che si formano tra i gruppi e sulle ideologie collettive. La SIS si propone di riprendere e rielaborare questo metodo esplorandone anche i rapporti antropologici con le forme contigue di performance centrate sulla rappresentazione del conflitto: il gioco, il rito, il teatro. Il dramma sociale che è al centro del lavoro di Victor Turner (Turner, 1986) viene assunto qui come proposta di intervento sociologico sul campo atto a rendere manifesto come la forte carica antagonista insita nei processi sociali può diventare, se opportunamente canalizzata, uno strumento di risoluzione e superamento della crisi con rafforzamento dell'unità del gruppo.
In termini applicativi la SIS da tecnica di osservazione e ricerca diventa una "performance sociologica", seguendo il modello della "performance etnografica" che Turner ha utilizzato per molti anni come strumento per insegnare agli studenti di antropologia come "vedere dall'interno" le altre culture, assumendone i ruoli e mettendone in scena i riti nella cornice fittizia del "gioco" (Turner, 1986).
Pantanella Shish Mahal, pur essendo una simulazione nata a scopo di ricerca per la raccolta di dati conversazionali, ha rivelato la sua destinazione naturale come strumento educativo per indurre riflessioni e cambiamenti sul tema tanto dibattuto e controverso del pregiudizio etnico (Zanotti, 1991). In una società dominata dalla comunicazione audiovisiva di massa, il pubblico - identificato di volta in volta come "consumatore", "elettore", "popolo" - è invitato ad attribuire valutazioni favorevoli o sfavorevoli sulla base di credenze prive di qualsiasi consistenza empirica, che sollecitano sentimenti positivi o negativi esclusivamente in riferimento a oggetti di giudizio il più possibile generici e tali da orientare l'azione politica.
Il "villaggio globale" sta diventando una "piazza virtuale" in cui si fanno strada solo i messaggi più semplici e diretti, in cui è bandita la riflessione critica e l'ambiguità. E' possibile che i media agiscano soltanto da rinforzo rispetto ad immagini che sono già presenti nella società, ma questo va inquadrato in una situazione caratterizzata dalla sostanziale uniformità tra messaggio narrativo e informazione, tra fiction e news. Tutto questo produce un terreno favorevole alla diffusione dei pregiudizi sociali (Ehrilich, 1973) e mette in ombra alcune delle acquisizioni più importanti delle democrazie moderne.
La simulazione e la performance sociologica possono offrire un contributo critico e un percorso formativo per avviare una riflessione collettiva su questi argomenti.
L'alto grado di coinvolgimento dei partecipanti, opportunamente sollecitato dalle tecniche di comunicazione multimediali (come dimostrano gli esperimenti compiuti con Pantanella Shish Mahal e Hostage Crisis), permette di attivare analisi e riflessioni che si muovono esattamente in senso opposto rispetto alla tradizionale passività del pubblico-spettatore. La conoscenza attiva dei problemi rende i partecipanti consapevoli del contributo che ciascun soggetto sociale offre alla costruzione della realtà in cui vive. Sebbene in una cornice di finzione possono essere affrontati temi molto controversi che vanno a demolire i fondamenti stessi del pregiudizio: la mancanza di informazione, l'eccesso di informazione e la sua selezione o manipolazione, la pluralità dei punti di vista, l'esperienza diretta, il riconoscimento dell'Altro.
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